Stefano Bisoffi, già direttore dell’Istituto di Sperimentazione per la Pioppicoltura di Casale e poi direttore scientifico del CREA, è il nuovo presidente dell’Ecomuseo della Pietra da Cantoni di Cella Monte. Lo abbiamo intervistato sui programmi.
L’Ecomuseo della pietra da cantoni di Cella Monte è un’importante realtà territoriale. Quale attività intende mettere in campo per la promozione delle peculiarità monferrine? Che tipo di messaggio intende dare ad un territorio in crescita sotto il profilo turistico?
La sede della Fondazione Ecomuseo della pietra da cantoni è a Cella Monte, nel bellissimo Palazzo Volta, ma l’Ecomuseo è tutto il territorio del Monferrato Casalese. La pietra da cantoni ne è l’emblema; rappresenta, con l’edilizia tradizionale, un elemento di unitarietà paesaggistica, è una componente fondamentale della sua cultura, della sua storia. Ma l’Ecomuseo deve interpretarlo come un punto di partenza per valorizzare il paesaggio, l’ambiente, il patrimonio architettonico ed artistico e le attività economiche coerenti con un modello di sviluppo sostenibile del territorio. Il turismo è certamente una di queste attività e deve crescere perché porta ricchezza senza compromettere le risorse naturali, paesaggistiche e culturali, ma anzi contribuendo a conservarle e valorizzarle; perché per un turismo, che non sarà mai di massa ma di élite, sono questi gli elementi di attrazione, insieme alle eccellenze enologiche e gastronomiche.
Anche gli infernot possono rappresentare l’emblema del territorio ma certamente il valore del territorio è costituito da un ventaglio di elementi molto più ampio. Certo, il Monferrato sconta ancora una carenza di capacità ricettiva, ma si deve innescare un circolo virtuoso in cui il turismo in crescita stimola investimenti in ricettività e questi a loro volta consentono di ampliare e diversificare l’offerta turistica. Un piano concreto di attività sarà a breve elaborato dal Consiglio di Amministrazione e discusso in seno al Consiglio d’indirizzo che si riunirà all’inizio del mese di gennaio. Alcune idee da sviluppare sono: la fruizione delle cave di pietra da cantoni, sia per il turismo sia, se possibile, per l’edilizia conservativa; la prosecuzione della collaborazione con gli Istituti scolastici nella documentazione del territorio; in particolare con l’Istituto “Leardi” con il quale da anni c’è una collaborazione esemplare, ma anche con l’Istituto “Luparia” per gli aspetti legati alla valorizzazione del paesaggio e della cultura agraria e dei prodotti del territorio; il completamento dei lavori per la fruizione del Palazzo Volta; la realizzazione di eventi culturali e formativi e molto, molto altro.
Cos’ha bisogno questo territorio per poter compiere quel passo decisivo verso la definitiva consacrazione? Ci sono ancora campanilismi e sacche d’isolamento da eliminare per uscire dal torpore che ha fatto sì che per molti anni il Monferrato restasse quasi nell’anonimato. Che ruolo può avere l’Ecomuseo in questa battaglia?
Il campanilismo nasce da un sentimento positivo di attaccamento al proprio paese, alla comunità che lo abita, alle tradizioni che ne caratterizzano l’esperienza vissuta ma si esprime in negativo, anziché in positivo, come antagonismo nei confronti del paese vicino. E’ come se un successo del mio vicino portasse un danno a me; è più probabile invece che il successo di qualcuno si riversi a cascata anche su chi gli sta intorno. Il Monferrato Casalese è fatto di piccoli borghi. L’insieme dei Comuni che fan parte dell’Ecomuseo ha poco più di 45mila abitanti ma, se si toglie Casale, che da sola ne ha i due terzi, tutti gli altri sono paesi piccoli, con una media di 750 abitanti: se non si uniscono le forze non si arriverà mai a nulla di positivo. Ciò che è maggiormente necessario è fare rete, far sì che ogni settore contribuisca allo sviluppo degli altri. Ecco, l’Ecomuseo vuole essere un catalizzatore, un collante.
Si parla troppo della differenza di sviluppo tra Langa e Monferrato: come la pensa?
La Langa ha compiuto quel salto di mentalità che ha consentito di dare di sé un’immagine positiva e soprattutto unitaria. Ha saputo sfruttare sapientemente l’immagine che vini eccellenti e di lunga tradizione hanno proiettato sul territorio. Ma chi, venendo da fuori e, conoscendo già la Langa, ha avuto occasione di girare per il Monferrato, ritiene che qui stia il vero futuro per quel tipo di turismo; per i paesaggi più dolci, per la varietà di ambienti, per i borghi, per la qualità della vita. Siamo noi che dobbiamo crederci.
Il tartufo e l’Ecomuseo: un binomio da valorizzare ulteriormente: ci saranno progetti?
Il tartufo è un argomento delicato che unisce e divide allo stesso tempo. Può essere un emblema del territorio, attrarre un turismo gastronomico con ricadute economiche significative, ma soprattutto essere il segno di un ambiente agrario e forestale sano. Tuttavia è anche un settore che resta in buona misura sommerso; il che magari contribuisce al suo fascino nell’immaginario individuale e collettivo ma non molto allo sviluppo del territorio, o perlomeno dei territori nei quali viene raccolto. C’è poi da dire che la vicinanza di Alba, che ormai ha dato anche il nome comune al Tuber magnatum pico, non aiuta a caratterizzare in modo distinto le altre zone di produzione del Piemonte, e in particolare quelle del Monferrato Casalese. Più che rivendicare zone di produzione circoscritte, denominazioni d’origine, protezione dalla concorrenza, gli sforzi si dovrebbero concentrare sulla riqualificazione delle zone vocate, sul ripristino anche quantitativo di una produzione che per molte e complesse ragioni è andata declinando in questi ultimi decenni. Sono in atto iniziative importanti in questo senso, basate sull’associazionismo e sulla cooperazione. so che la loro attività è spesso contrastata da alcuni che hanno interesse a mantenere sommerso il settore; ma a mio parere sono la strada maestra da percorrere.